- Il racconto della Nonna sulla storia 4 novembre
- La Voce Tremante della Memoria
- L’Ultima Lettera dal Fronte
- L’Attesa e il Silenzio del 4 Novembre
- Il Fazzoletto e la Medaglia di Latta
- La Verità Nascosta nella Stella Alpina
- La Smorfia di un Eroe Silenzioso
- Il Capogioco Scelto dalla Nonna: La Promessa
- La Smorfiata della Nonna
- Oltre la Storia 4 Novembre: Il Valore del Ricordo
La commovente storia 4 novembre raccontata dalla Nonna di Lottogazzetta, un ricordo di suo padre soldato e del sacrificio per la Patria
Il racconto della Nonna sulla storia 4 novembre
Ci sono giorni segnati in rosso sul calendario che portano con sé un peso diverso. Oggi è il 4 novembre, una data che celebra l’Unità Nazionale, la fine di un conflitto terribile e il sacrificio dei nostri soldati. È una giornata di commemorazioni ufficiali, di bandiere al vento e di discorsi solenni. Ma dietro la storia ufficiale, quella scritta sui libri, ce n’è un’altra, sussurrata, fatta di milioni di storie personali, di attese e di silenzi.
Questa mattina, ho chiamato la nostra Nonna, la Nonna di Lotto Gazzetta. Come sapete, ho un legame di affetto profondo con lei, anche se non sono suo nipote di sangue, e per me è un punto di riferimento. Volevo solo salutarla, ma la sua voce, di solito allegra e pimpante, era diversa. C’era una nota sottile, una crepa che conosco bene, quella che riserva ai ricordi più profondi. “Ciao nipotino mio,” mi ha detto (mi chiama così, per affetto), “oggi è una giornata importante, sì. Ma per la nostra famiglia, è sempre stata una giornata di silenzio.”
Ho capito subito che c’era qualcosa che voleva condividere. Mi sono messo comodo e le ho chiesto di raccontarmi. E quello che mi ha detto è una di quelle storie che non si trovano sui monumenti, ma che costruiscono l’anima di un Paese. È una storia 4 novembre che appartiene solo a lei, e che oggi, con il suo permesso, condivido con voi.
La Voce Tremante della Memoria
La Nonna ha fatto un lungo sospiro. “Vedi, nipotino,” ha iniziato, “oggi tutti parlano di eroi e di vittorie. E fanno bene. Ma io, quando penso al 4 novembre, penso a mio padre. Si chiamava Giovanni. Mia madre, sua moglie, ne parlava così poco che quel silenzio era più rumoroso di mille parole.”
Mio Dio. Avevo sempre dato per scontato che i suoi racconti di guerra fossero cose imparate, non vissute. Mi sbagliavo.
“Era un contadino,” ha continuato, “un uomo semplice che amava la sua terra. Era stato chiamato al fronte, come tutti, per combattere quella che chiamavano la ‘Grande Guerra’. Era partito lasciando a casa una moglie giovane e una bambina piccola… Quella bambina, nipotino mio, ero io.”
L’Ultima Lettera dal Fronte
La Nonna mi ha raccontato che sua madre conservava una piccola scatola di latta, di quelle che una volta contenevano i biscotti. Dentro c’era tutto quello che restava di suo padre. La apriva quasi mai, solo in questo giorno. “Io, da bambina, ero curiosa. Un giorno, mentre mia madre non c’era, aprii quella scatola.”
Dentro c’erano poche cose: un libretto militare consumato, una medaglietta e un piccolo mazzo di lettere, legate con un nastro sbiadito. “Ne sfilai una,” mi ha detto, “l’ultima. Era scritta su una carta sottile, quasi trasparente, e la calligrafia era incerta, perché scriveva al lume di candela, chissà dove. La cosa che più mi colpì, però, non era il racconto della guerra. Mio padre non parlava di battaglie o di nemici. Parlava di casa.”
Chiedeva della vigna, se l’uva era buona quell’anno. Chiedeva di mia madre. E poi c’era un messaggio per lei, la sua bambina. “Dì alla mia piccola stella,” scriveva a sua moglie, “che il suo papà tornerà presto. Tornerò per la vendemm-ia, e le porterò quel fiore che le ho promesso, quella stella alpina che cresce solo qui, dove nevica anche d’estate.”
L’Attesa e il Silenzio del 4 Novembre
Poi arrivò quel giorno. Il 4 novembre 1918. Le campane di ogni chiesa d’Italia suonarono a festa. La guerra era finita. L’armistizio era stato firmato. La gente si riversava nelle piazze, piangendo e ridendo, abbracciandosi. La pace. Finalmente.
“Nella nostra piccola casa,” mi ha raccontato la Nonna, “a quella gioia si mischiava un’ansia che stringeva lo stomaco. La guerra era finita, mio padre sarebbe tornato. Lo aspettavamo. Passò il 4 novembre. Passarono le settimane. Altri uomini del paese cominciavano a tornare, chi ferito, chi provato, ma vivo.”
“Lui no. Di mio padre non si sapeva nulla. La gioia della pace, per mia madre e per me, era diventata un’attesa straziante, un silenzio assordante rotto solo dal rintocco delle ore.”
Il Fazzoletto e la Medaglia di Latta
Arrivò l’inverno. Fu solo mesi dopo, a gennaio, che qualcuno bussò alla loro porta. Era un compagno di plotone di suo padre, un ragazzo tornato senza una gamba, appoggiato a due stampelle di legno. Teneva in mano il suo cappello e non aveva il coraggio di alzare lo sguardo.
Non servirono molte parole. L’uomo tirò fuori dalla tasca un piccolo involto. Non era la scatola di latta che io ricordo, quella la fece mia madre dopo. Era solo un piccolo fagotto. Dentro c’erano il libretto militare, una medaglia di latta, di quelle che davano per il servizio, e un fazzoletto bianco, di quelli semplici, da contadino.
Il fazzoletto era sporco di terra e… di qualcosa di scuro, secco. Mia madre capì. E pianse. Ma il soldato scosse la testa. “No, signora,” le disse. “Non è stato un colpo. Non è morto in battaglia.”
La Verità Nascosta nella Stella Alpina
“Nipotino mio, preparati, perché è qui che la storia fa male,” mi ha detto la Nonna, e ho sentito che la sua voce si era rotta davvero. “Mio padre non era morto per una granata. Era morto solo cinque giorni prima della fine della guerra. Cinque giorni.”
Non l’aveva ucciso il nemico. L’aveva ucciso ‘la spagnola’, la terribile influenza che in quegli anni fece più morti della guerra stessa. L’aveva presa in trincea, tra il fango e il freddo. Il suo compagno, quello tornato, era con lui in un ospedale da campo quando se n’era andato.
Mi ha raccontato che suo padre, febbricitante, delirava. Parlava della vigna, di casa. E stringeva in pugno quel fazzoletto. “Pochi giorni prima,” raccontò il soldato, “durante una marcia, lui si era arrampicato su una roccia, rischiando, per prendere una stella alpina. ‘È per la mia bambina’, ci disse, ‘gliel’ho promesso’. L’aveva avvolta con cura nel suo fazzoletto, per portarla a casa.”
Quando la malattia lo prese, non lasciò mai quel fazzoletto. “È morto chiamando il mio nome,” concluse il soldato. “Il fiore si è sbriciolato, signora. Non sono riuscito a salvarlo. Mi è rimasto solo questo.” Il fazzoletto era macchiato dalla terra dove aveva raccolto il fiore e dal suo stesso sangue, perché la malattia glielo portava via dai polmoni. Era morto stringendo la promessa fatta a sua figlia.
La Smorfia di un Eroe Silenzioso
Sono rimasto in silenzio al telefono per un tempo che mi è parso infinito. Ero profondamente commosso. Non c’è eroismo più grande di questo: morire non in battaglia, ma nel tentativo disperato di mantenere una promessa d’amore. Questa era la storia 4 novembre della sua famiglia.
La Nonna si è schiarita la voce. “E allora, nipotino,” ha detto, riprendendo il suo tono solito, ma ancora velato, “adesso la smorfiamo questa storia. Perché i numeri non servono solo a vincere, servono a non dimenticare. Ogni numero è un pezzo di ricordo.”
“Che numeri ci mettiamo, Nonna?” le ho chiesto. “Beh, è facile. Mettiamo il 4, del giorno, e l’11, del mese. Mettiamo l’1, ‘l’Italia’, o ‘la Grande Guerra’ come la chiamavano. Ci va il 12, ‘o surdato, il soldato. Ma non un soldato qualsiasi, un eroe. E poi ci va il 14, ‘o muorto, il morto. Ma anche il 13, che è ‘Sant’Antonio’, ma per noi napoletani è anche la malattia che ti porta via.”
Il Capogioco Scelto dalla Nonna: La Promessa
“Ma il numero più importante, nipotino mio,” ha continuato, “non è la morte. È la promessa. E la promessa era per me.”
Le ho chiesto quale fosse, per lei, il capogioco di questa storia. “Io scelgo il 15, ‘a uagliona, la figlia. Ero io, e lui ha fatto tutto per me. E come abbinamenti, ci metto il 71, l’uomo senza valore, che per la Smorfia è anche il fazzoletto, quella povera pezza di stoffa che valeva più di tutto l’oro del mondo. E ci metto l’80, ‘a vocca, la bocca, quella che ha usato per fare la promessa e per chiamarmi prima di chiudere gli occhi.”
“E le ruote, Nonna?” “Beh, sulla Nazionale, per la Patria per cui è morto. E su Venezia,” ha detto, “perché è lì, su quelle montagne del Nord, che ha raccolto quel fiore.”
La Smorfiata della Nonna
Ho trascritto tutto, sentendo i brividi. La capacità della Nonna di trasformare un dolore così profondo in uno studio lucido è la sua forma di rispetto, il suo modo di accendere un cero su quell’altare dimenticato.
Questa è la sua “smorfiata”, che non è solo un’analisi, ma un monumento personale alla memoria di un uomo semplice e di un padre straordinario.
La Smorfiata della Nonna (Valida per 9 Colpi)
Ruote di Studio: NAZIONALE e VENEZIA
Capogioco Statistico: 15
Numeri Convergenti per Abbinamento: 71 – 80 – 4
(Studio basato sul racconto del 4 novembre 2025)
Oltre la Storia 4 Novembre: Il Valore del Ricordo
Quando parliamo della storia 4 novembre, spesso pensiamo alle parate militari, alle corone d’alloro, ai nomi incisi sul marmo freddo. Ma la vera storia è fatta di questo. È fatta di un fazzoletto sporco, di una stella alpina mai arrivata, e dell’attesa di una bambina che è invecchiata portando nel cuore il silenzio di suo padre.
La Nonna mi ha salutato. “Mi raccomando, nipotino. Oggi dille una preghiera per mio padre, Giovanni. E non dimenticarlo.” Non lo farò, Nonna. E grazie a questo articolo, spero che questa sera, anche il ricordo di Giovanni, il padre della nostra Nonna, morto cinque giorni prima della pace, possa vivere ancora.
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