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La vera storia del terno perduto… e poi ritrovato

La vera storia del terno perduto… e poi ritrovato

Da quando ci occupiamo di giochi a pronostico in generale, dal totocalcio al totogol, dalle scommesse calcistiche all’ippica, ed ora nello specifico al lotto e ai suoi “derivati”, ne abbiamo sentite davvero molte di storie da parte dei differenti giocatori.

Ci sono storie tristi, belle e brutte, a lieto fine, ed anche storie che lasciano in qualche modo il segno, ma dietro ciascuna di queste storie si nasconde una persona, un individuo che per una ragione, o per un’altra, l’ha vissuta e ha dovuto farci i conti.

In tutta sincerità per quante ne abbiamo ascoltate e lette con la posta, per email, ed anche per messaggi privati, potremmo scrivere un libro di diverse migliaia di pagine.

Raccontarle tutte è impossibile, tuttavia in questa occasione ne raccontiamo una che in qualche maniera rappresenta situazioni che sono accadute un po’ a tutti, anche se in questo caso…

Ma forse è meglio raccontare piuttosto che anticipare…

Useremo un nome inventato perché non possiamo, per motivi di privacy, dire di chi si tratta davvero.

Rosaria, madre di quattro figli ancora non maggiorenni, si era trasferita, dopo il suo matrimonio, nella vicina regione della Calabria lasciando la sua amata Sicilia.

Appena agli inizi del 2013 suo marito ebbe a perdere il lavoro, e la famiglia iniziò a dare fondo a quei pochi risparmi che solo le donne del sud riescono a mettere da parte, con spese oculate e tanti sacrifici fatti nel tempo.

Il tempo passava e le ristrettezze economiche aumentavano e Rosaria, fervente credente, andò in chiesa a chiedere conforto e, inginocchiatasi davanti ad una delle poche statue di quella piccola chiesetta di paese, chiese in cuor suo, con una preghiera, aiuto all’Altissimo.

Alcune notti dopo, poco prima della fine dell’estate di quello stesso anno, fece uno strano sogno.

Si trovava, nel sogno, a percorrere una strada del suo vecchio paese natale, in provincia di Palermo, quando il cappello che portava in testa gli fu portato via da una folata di vento.

Iniziò a seguirlo ed ogni volta che gli si avvicinava, il vento glielo spostava ancora di qualche metro.

La cosa durò per diverso tempo, ma alla fine riuscì ad agguantare il cappello, e grande fu la sua sorpresa quando questo cappello inizio a parlare, perché nella parte di fronte aveva una grande bocca.

Non capiva il senso di quelle parole, e non era per niente spaventata da quei fatti, ma voleva che quella bocca smettesse di parlare perché in queste condizioni non aveva nessuna intenzione di rimettersi in testa il cappello.

Lì vicino scorse un bastone di scopa e senza pensarci su due volte, lo raccolse, e impugnatolo con la destra, iniziò a bastonare con forza la bocca sul suo cappello.

Più dava bastonate e più quella bocca diceva cose senza senso, almeno così sembrava, poiché alla fine riuscì distintamente a sentire: juoca… juoca.

Al mattino, appena sveglia, ricordava perfettamente tutto quello strano sogno, ma non riusciva a dargli nessuna spiegazione che avesse un senso.

Prima che chiudesse il mercato settimanale che si teneva in paese, Rosaria vi si recava sempre sul tardi perché le rimanenze i commercianti le svendevano, incontrò la comare del suo secondogenito, con la quale era in ottimi rapporti d’amicizia.

Mentre facevano un tratto di strada insieme nel ritorno, Rosaria raccontò alla comare il suo strano sogno.

Quella massaggiandosi pensierosa il mento, disse che il sogno era senza dubbio da smorfiare e che si doveva giocare al lotto, ma che lei non sapeva farlo e che occorreva un libro della smorfia.

Gli disse, comunque, che di certo la ruota era quella di Palermo perché Rosaria nel sogno si trovava nel suo paese natale.

Appena tornata a casa Rosaria si rammento che tra i vecchi libri che teneva in cantina c’era una vecchia smorfia appartenuta a suo padre, giocatore occasionale di lotto, e che si era portata dietro dopo la sua morte.

Quella sera, dopo che marito e figli erano già coricati e dormivano nei propri letti, si accomodò seduta e prese a sfogliare quella vecchia e sgualcita smorfia.

Trovò che la bocca corrispondeva al numero 80, che il cappello al numero 54 e che le bastonate davano come numero il 38.

Staccò un pezzo di carta dalla busta del pane, e scrisse con un mozzicone di matita i tre numeri con la città di Palermo: 38.54.80.

Lasciò poi quel pezzo di carta lì sul tavolo, assieme al pranzo che aveva preparato per il marito, il quale l’indomani mattina presto doveva andare ad aiutare il fratello nel loro uliveto di famiglia.

Il giorno successivo, Rosaria, iniziò come al solito la sua giornata, promettendosi che si sarebbe recata nell’unica tabaccheria del paese a fare la sua giocata al lotto, con i numeri del suo sogno.

Poi, presa dai soliti affanni quotidiani, trascorse il resto del giorno dandosi da fare in casa. Portare i figli più piccoli a scuola, preparare il pranzo e la cena, lavare, pulire, insomma le cose che le donne di famiglia fanno ogni giorno.

Forse fu la stanchezza o forse solo perché presa da tutti gli altri impegni casalinghi, che dimenticò di fare la sua giocata.

Ne ebbe ricordo soltanto alla sera, quando sfinita da tutti i suoi impegni stava sciacquando i piatti di quel povero desinare.

Restata sola, cercò sulla pagina del televideo le estrazioni del lotto di quel giorno e con sua grande amarezza scoprì che a Palermo erano stati estratti i numeri 80.54.86.4.38.

Rosaria non voleva credere ai suoi occhi che, quasi come un fiume in piena, iniziarono prima a gonfiarsi e poi a piangere.

Fu un pianto duro, doloroso, dove finite le lacrime amare restavano soltanto piccoli singhiozzi che salivano su dallo stomaco e si spezzavano in gola.

Quel rumore di singulti lamentosi non sfuggì a suo marito, che alzatosi nel cuore della notte, la trovò seduta in terra con quel pezzetto di carta con i numeri scritti sopra, tenuto in mano come una reliquia.

Era bianca in volto e sembrava stremata da tutta quella disperazione che aveva vissuta, sola, in quella cucina che era il suo regno.

Scorgendola così, il marito impaurito, la sollevò con forza e la mise a sedere sulla sua sedia, domandogli cosa fosse successo.

Rosaria non trovava la forza di parlare e il suo sguardo vitreo era fisso su quel piccolo pezzo di carta che stringeva in mano, poi, quasi come se i singhiozzi si fossero rotti del tutto, disse: i numeri…

Cosa? Domandò il marito, che cosa è successo?

Lei ebbe a dire con filo di voce che sembrava provenire dalle sue viscere, piuttosto che dalla sua bocca, è uscito il terno a Palermo…

Si accorse che Rosaria teneva in mano quel pezzo di carta e fu allora che come preso da un raptus di nervoso, Lui prese a sorridere fremendo.

Prima con le spalle, poi con tutto il corpo e poi ancora quel sorriso si trasformò in un riso frenetico.

L’uomo lasciò Rosaria seduta sola sulla sedia, che lo guardava come se fosse impazzito e pian piano ritrovò la sé stessa che aveva perduta.

Cosa hai da ridere? Disse con una rabbia che le saliva dentro sempre più impetuosa. Non hai capito che ho perso il terno?

Lui l’abbracciò e la sollevò come se fosse una piuma e, tenendola stretta tra le sue braccia, disse: ho giocato io, perché stamattina ho visto quel pezzo di carta e credevo che lo avevi lasciato a me per fartelo giocare.

Fu allora che tutti e due presero a saltare come pazzi nella cucina, accompagnati dai figli che, intanto, si erano alzati a quel trambusto e, benché non ne capissero il motivo, ballavano assieme a loro.

Era una puntata da 10 euro sull’ambo e da 10 euro sul terno, per una vincita di circa 47.500 euro.

Quella ricevitoria in provincia di Cosenza, ancora ricorda ai suoi clienti quella fortunosa vincita.

La famiglia da allora si è risollevata ed ha aperto un piccolo negozio di verdure lì in paese, e gli affari non mancano.

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