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La “leggenda” del Padre indovino

Una piccola storia per due numeri

La “leggenda” del Padre indovino

Chi non è nato è vissuto a Roma non potrà mai capire il senso vero di questa città, perché Roma ti forgia già dai tuoi primi vagiti, dalla prima luce che vedi aprendo gli occhi.

Chi nasce in borgata non ha le stesse opportunità di chi è dentro le mura, ma nella borgata devi imparare, sin da subito, cosa è la vita, “allenandoti” di continuo con i tuoi simili.

Roma è Roma

Roma è misteriosa, impenetrabile per tanti, e non è solo il centro il suo fulcro, ma è dappertutto, dai Castelli al Divino Amore, da Fiuggi ai piccoli centri dopo Prima Porta, ed è da lì che partono in tanti per lavorare nella capitale.

Dove ora insiste la subaugusta, tra Centocelle e Torre Spaccata, alle spalle di un piccolo aeroporto militare, ci stazionavano degli zingari. Vivevano in uno di quei posti che abbiamo visti in tv, ma per chi ci è entrato la visione è diversa.

Se non hai il “biglietto”…

Non ci si entra, così per caso, ci si entra se si è accompagnati da qualcuno che ti ci porta, perché altrimenti, tranquillo, non entri. Mi accompagnò un ragazzo della mia età, che non ricordo più il nome.

Siamo stati amici per qualche giorno e non potevamo esserlo per più. Le nostre vite erano del tutto diverse, ma anche quando si è bambini si capisce il rispetto, e tra noi c’era.

L’indovino

Non voglio tirarla troppo per le lunghe, di certo interessano di più i numeri, motivo per il quale arrivo al punto, e il punto era che mi portò da suo padre. Seduto, con un ramo in mano a mo’ di bastone e con i suoi due occhi completamente spenti.

Era cieco. Non era vecchio, ma lo sembrava.

Mio Padre – disse il mio amico – è un indovino!

Già visto

Gli chiesi cosa indovinasse e rispose di chiederlo a lui, al padre. Ero imbarazzato. Lo avevo riconosciuto ed anche da un particolare. Una piccola scatola di legno di un marrone scuro e liso, con dentro un pappagallo, posta su di un ripiano in bella vista.

Il padre era accompagnato, in giro per quelle borgate limitrofe, quasi sempre da una bambina che lo teneva per mano, mentre lui teneva la scatola con il pappagallo. E quello che aveva il compito più importante, era proprio il pappagallo.

Pappagallo al lavoro

Chiamavano la buona sorte per ogni passante, sperando che qualcuno si fermasse e lasciasse un obolo da 5 o 10 lire, dopo che il pappagallo, invitato a sortire con la testa, non pescasse un foglietto da dentro la scatola.

Era uno di quei biglietti del “Pianeta della Fortuna”, dove veniva prima discussa una certa filosofia di vita e, da qualche parte su quel foglio colorato, tre numeri da giocare al Lotto ed anche una colonna totocalcio.

La coppia di numeri

Avevo capito perché il mio amico diceva che il padre era un indovino. Ho da qualche parte un paio di quei foglietti, ma ho ancora impressi i due numeri che troneggiavano su un piccolo davanzale fatto di cassette da frutta.

Stando nella capitale la ruota base è di certo Roma, poi Tutte per non avere rimpianti.

Un numero era il 13 e l’altro quello che indica la paura.

La “leggenda” del Padre indovino

Ci provo per qualche colpo, voi non so…

Roma ambo secco 13.90

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